Tutto il resto è disco dance: La casa, Elliott Smith e i giapponesi isterici

martedì, settembre 13, 2005

La casa, Elliott Smith e i giapponesi isterici

Bah. Barf. Sbrof. Sgrunt. Mentre scrivo il mio posteriore cerca di ricordarmi perchè mi trovo a casa lontano da casa, cioè dalla città che io ormai considero casa ma dove in realtà non ho più una casa. Potrei effettivamente essere arrestato per abuso di parola “casa”. Mi spiegherò meglio. Ordunque, io sono originario di Lecce, trapiantato come un capello di Forza Italia a Milano da più di cinque anni per frequentare l’università che – nel frattempo – ho, ahimè, anche completato ad aprile scorso. Milano è diventata la mia vera casa, nel senso che ci vivo molto meglio di come vivevo a Lecce, con grosso disgusto di tutti quelli che ohmadaiquellacittàdimmerda, nonsivedemaiilsole (non è vero, il sole a Milano si vede, smettetela di pensare ai film degli anni 80 in cui il cielo era sempre grigio), iolaodiononlasopporto e peggio ancora quelli rinnegato. Uno non è che si deve affezionare ad un posto solo perchè ci è nato, ci dovrà vivere bene, o no? E io a Lecce vivo male. A Milano bene. Stop. Ad ogni modo, sto divagando: mi trovo a Lecce perchè ho subito un’innocua ma fastidiosissima operazione, grazie alla quale ho un taglio in quella regione che, dandoci del tu, definirei tra l’osso sacro e il buco del culo. Questa cosa mi blocca qui, mi impedisce di sedere e mi obbliga, ah che fatica, a stare steso per gran parte della mia giornata. Ho dovuto, per vicissitudini che non sto qui a raccontare, lasciare la mia camera in viale Bligny prima di partire per venire ad operarmi, e adesso non ne ho una quando torno... mi appoggerò da un mio amico e la mia roba rimarrà durante la ricerca in uno di quegli “alberghi delle cose”, per farmi sentire uno zingaro ogni volta che avrò bisogno di qualcosa che è stato inesorabilmente inscatolato. Questo, ovviamente, avverrà ogni dieci minuti una volta tornato.
Spero così di aver chiarito le prime due righe.

Elliott Smith è la mia ruota di questo periodo... nel senso che io non è che quando scopro qualcuno che fa musica che mi piace mi appassiono e lo ascolto, ma ne entro a ruota, o meglio ancora mi arruoto: lo ascolto in continuazione, quasi fosse un bisogno fisico. Il personaggio in questione, poi, è di quelli che scopri quando è già passato a miglior vita, e questo ti fa girare i coglioni, poichè chissà quante altre gioie avrebbe potuto regalarti con svariati album che avresti comprato, scartato, di cui avresti annusato il libretto e dopo mille ascolti li avresti riposti insieme agli altri cd – in rigoroso ordine alfabetico e cronologico (alla Nick Hornby di High Fidelity, che però elaborava una complessissima forma di catalogazione) – per poi ritirarli fuori nelle occasioni giuste. Penso però che il ragazzo, morto suicida e con una (non so se passata) sana e robusta tossicodipendenza, sia trapassato perchè inadeguato a vivere su questo mondo, incapace di essere compreso a fondo. Era cioè un essere superiore, con una sensibilità rara; di conseguenza, non conosciuto dai più e per questo non abbastanza considerato. Inadeguato alla vita, in una parola. Allo stesso modo di Jeff Buckley, del resto. E per chi volesse approcciarsi alla sua musica, sappia che il buon Elliott, che trova i suoi momenti più alti a mio parere negli album “Figure 8” e nell’ultimo “From a Basement...” (con la canzoni solo alla seconda versione e quindi non definitive), è un punto di incontro tra Jeff Buckley, Badly Drawn Boy e i Beatles più intimisti. Seguiranno, in un futuro prossimo, recensioni degli album. O soprattutto, se capissi se e come si possono postare mp3, esempi reali delle capacità del cantautore. Intanto, nei link, c'è una pagina con un bellissimo articolo sulla morte di Elliott.

Ah, cercherò di postare una mia sottospecie di foto. Come dicevo nel primo post, tutti i miei averi digitali sono rimasti con il mio pc a Milano (canzoni a parte, che sono nel mio iPod, altrimenti non sarei potuto sopravvivere), e quindi non posso mettere foto tranne quelle cagate fatte col cellulare. Odio quelli che ogni momento tirano fuori il telefotino e –trsciak– scattano come se fossero giapponesi isterici, visto che poi le foto sono di qualità pessima.



Chiudo, infine. Sono molto preoccupato, il silenzio mi ingrossa la cappella.

1 Comments:

At 13 settembre, 2005 01:05, Anonymous Anonimo said...

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