Tutto il resto è disco dance: maggio 2006

domenica, maggio 28, 2006

Smiles of a Summer Night

Qualcuno avrà notato che sono cambiate quasi tutte le canzoni della radio. Ne ho trovate un bel pò che si adattano perfettamente ai miei (mutevoli) umori: a parte il ritorno di Elliott Smith - mi innamoro di sue canzoni a getto continuo e via a sentirle a ruota - leggendo un paio di giornali sono saltati fuori degli sconosciuti che riempiono a meraviglia serate ormai estive (pantaloncini e finestra spalancata) e girovagate in macchina (finestrino spalancato). Ma soprattutto - novità! - non sono solo canzoni malinconiche; sono due giorni, ad esempio, che ascolto a ripetizione No Tomorrow di tali Orson, che per rendere l'idea assomigliano ai Maroon 5 di This Love (solo che i Maroon 5 "je fanno una pippa"), estiva e con degli "Uh! Uuuuh!" davvero paraculi, com'è necessario per una canzone estiva. Poi i Phoenix con Lost and Found, altra canzone "da club", sottofondo perfetto per un cocktail all'aperto; gli Heatmiser e New Amsterdams, più in linea con la solita malinconia latente, ed ancora Elliott: sentite Angel in the snow, penso che ci siano pochi modi per cantare una canzone a qualcuno in modo più dolce.

Per il resto, nulla di nuovo: il mio cervello ha ancora bisogno di una deframmentazione perchè sarà qualche settimana che mi sento, appunto, "frammentato": si vive alla giornata, senza un filo logico, decisamente disordinato, scombinato, sfocato: il problema è che, forse, inizio a gestirla e mi piace...

La foto non c'entra nulla (il film non l'ho visto), ma mi piaceva, il titolo è bellissimo e l'ho passato al post. Au revoir.

domenica, maggio 21, 2006

Gli stivali russi (complete version)

THE RUSSIAN BOOTS (Full Metal Version)

"Sono stivali russi, quelli?"
Un sorrisetto, una smorfia, la ricerca di condividere con me, a lei di fronte, quell’ironia che appariva pressoché inevitabile.
La ragazza castana non ritenne necessario rispondere a quell’insolita domanda, e si limitò a scuotere il capo, sorridendo di sarcastico stupore.
Quel buffo vecchino, dal canto suo, non afferrò il buon divertimento della ragazza, e continuò a fissare quel paio di stivali.
Beige, di pelle chiara, gli stivali della ragazza castana erano alti e terminavano con del pelo bianco e grigio, quasi a toccarle le ginocchia. Erano stivali italiani, molto di moda fra i giovani. Stivali normali agli occhi di tutti. Agli occhi della ragazza castana. Ai miei occhi, che li guardavano dal seggiolino opposto dello stesso tram. Agli occhi della signora mascolina che sedeva alla mia destra. Agli occhi dell’autista che li fissava dallo specchietto. Agli occhi dei miei occhi. Gli occhi celesti. Ma non agli occhi di quel signore antico.
Il suo nome era Giacinto. Il mio Franco. Quell’uomo doveva proprio appartenere ad un’altra era geologica, pensai. E forse fu lo stesso pensiero che attraversò la sua di mente, se solo quegl’occhi color cenere avessero potuto darmene conferma. Ma forse non cercavo alcuna dimostrazione, alcuna prova. Volevo solo continuare ad osservarlo, in tutto il suo più genuino stupore. Restai sul tram numero 9 almeno quaranta minuti, non curandomi di nulla, se non di quel canuto signore.
Scoprii solo più tardi, inventandomelo, che Giacinto era rimasto ibernato in un laboratorio iperbarico per gli ultimi quarant’anni. Un esperimento scientifico, credo.
Giacinto era nato tra le cime innevate dell’Alto Adige, da una famiglia di lavoratori disonesti.
A inizio secolo, giovanissimo, si era rifugiato nei boschi di casa sua con alcuni amici per evitare di fare la guerra, la Grande Guerra. Era così dannatamente contrario alle armi che nonostante pian piano uno per volta i suoi amici decisero di tornare a casa e consegnarsi alla battaglia, lui continuò a nascondersi e rimase solo per ben diciotto mesi, sopravvivendo del suo selvatico istinto. Tornata la pace Giacinto ritornò alla civiltà, non senza problemi di adattamento alla nuova era. La gente era cambiata, diceva lui, che, rimasto nella sua tana d’ovatta lontano dai rumori della guerra, non aveva conosciuto e compreso una tappa cruciale nel percorso evolutivo dell’umanità. La medesima storia si ripeté al presentarsi del secondo conflitto mondiale, altra montagna, altro rifugio. Una realtà ancor più mutata fu la scoperta di Giacinto al suo ritorno. Una realtà che quell’uomo non poteva più tollerare, come il raschiare di una forchetta di metallo in un piatto di porcellana bianca.
Uno ed unico divenne il desiderio di Giacinto: svegliarsi in un’era che non conosca guerra. Da sogno si tramutò in realtà quando nel 1966 conobbe il Dottor Schulz, dell’Università di Monaco, che lo ibernò.
Quando io lo incontrai era il suo primo giorno di vita dopo lo scongelamento, ed io ebbi la fortuna di godere del suo primo impatto col presente. Che per lui era futuro.
“ Sono stivali russi, quelli?”. Uno spassosissimo impatto. Ben tornato tra noi Giacinto, ti presento il 2006!
Scesi dal tram, camminai per cinque minuti, arrivai a casa. Prima di entrare avevo già deciso che non potevo non trascrivere quello che mi era appena accaduto.
Chissà quando si renderà conto, Giacinto, che nel mondo ancora si combatte?

sabato, maggio 13, 2006

Steady rollin', and i keep going

Rieccomi blogger dopo innumerevoli lune passate... quasi un mese dall'ultimo post, a causa dei ponti che hanno riempito i weekend e di un pò di scarsa vena. Periodo un pò strano, scombinato come a volte succede, fatto di serate a tirar tardi, concerti e fumose nottate con le carte in mano. In realtà le notti sono la naturale evasione da giorni passati sul lavoro con un personaggio assolutamente distante (e in conflitto) dal mio modo di essere, che nell'ultima settimana ha messo a dura prova il mio self control e la mia calma, rendendomi discretamente acido anche nei confronti delle persone che mi circondano.

Continuano a latitare nuove scoperte musicali, che poi sarebbero il vero oggetto di questo blog (e non le mie dis-avventure); recentemente però sono andato ad ascoltare dal vivo i Mogwai e i Two Gallants, che già ampiamente trattati in post precedenti, sono tornati in heavy rotation.
Il primo, al Rolling Stone, è stato probabilmente uno dei più belli che abbia mai visto. Arrivavo lì da una notte con tre ore scarse di sonno, con voglia azzerata e paura che sarebbero stati troppo violenti per le mie orecchie. Invece, violenti lo son stati ma è stato incredibile, perchè nei deliri dei loro pezzi strumentali mi sono perso. E non ero solo io, anche il mio accompagnatore è rimasto spesso, come me, ipnotizzato a guardarli e sballottolato dai loro assalti sonori. Un pezzo di 15 minuti può essere noioso, spesso; invece tutto il pubblico è rimasto immobile e a bocca aperta, disorientati come se prima di entrare tutti avessero preso un acido.

Più recente, invece, il concerto dei Two Gallants. In un circolo arci, in una piccola stanza con una quarantina di persone e un'atmosfera molto raccolta e intima. Chi li ha ascoltati nella blog radio, avrà capito che i 2G sono due storytellers, chitarra più batteria e voce roca di mille sigarette a raccontare storie e sentimenti. Hanno suonato poco, nemmeno un'ora e mezzo, ma è stato molto intenso; con i pezzi più lenti e tanta armonica, in quella stanzetta, è stato come vedere suonare due amici che riescono a rapirti ogni volta che imbracciano la chitarra, e che faresti suonare per ore. Niente Waves of Grain, purtroppo, ma Steady Rollin e Anna's Sweater sono state splendide. E poi gli immancabili feticci: un cd, un piccolo vinile e la locandina del concerto.

Tutto qui, nient'altro da aggiungere; spero di riprendere a scrivere con regolarità, ma chissà. Intanto, il prossimo argomento c'è già: ho recuperato la mia vespa, devo darle una sistematina ma poi riprenderò a sfrecciare per i viali della città ormai assalita dal sole primaverile, e non potrò non dedicarle un post.
A presto.



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