Tutto il resto è disco dance: aprile 2006

giovedì, aprile 20, 2006

Le notti bianche

In queste due ultime notti, ognuna da 3 ore di sonno o poco più, rigirandomi nel letto per l'insonnia pensavo a Titta Di Girolamo. Titta è il nome del protagonista de "Le Conseguenze dell'Amore", uno dei film più belli che abbia visto; personaggio solitario ed enigmatico, quasi ermetico come alcune delle sue frasi nel film (esempio: "i timidi notano tutto, ma sono molto bravi a non farsene accorgere").

Ma il motivo per cui pensavo a Titta durante le mie recenti vicissitudini notturne (e oggi non sarà meglio, dato che vado a vedere i Mogwai), è una sua riflessione proprio sull'insonnia:

Esiste nel mondo una specie di setta della quale fanno parte uomini e donne, di tutte le estrazioni sociali, di tutte le età, razze e religioni. è la setta degli insonni e io ne faccio parte, da dieci anni.
Gli uomini non aderenti alla setta a volte dicono a quelli che ne fanno parte: "Se non riesci a dormire puoi sempre leggere, guardare la tv, studiare o fare qualsiasi altra cosa".
Questo genere di frasi irrita profondamente i componenti della setta degli insonni. Il motivo è molto semplice. Chi soffre d'insonnia ha un'unica ossessione: addormentarsi...

lunedì, aprile 17, 2006

Sono io il mio minotauro

Scappo ancora incravattato dall'ufficio, parcheggio in zona vietata, chiudo la macchina e inizio a correre. Recupero il biglietto comprato mesi prima e mi faccio accompagnare all'interno della sala, dove per raggiungere il mio posto devo anche scavalcare una poltroncina. Ma alla fine ci sono, e ho perso solo una canzone. Teatro Smeraldo, 11 aprile, Vinicio Capossela. Sta attaccando Brucia Troia, vestito da mamutones con l'ormai solita maschera sarda.

"e poi c'è il minotauro, questo strano essere mitologico. Condannato a vivere in un labirinto, sofferente della sua solitudine ma che, per ironia della sorte, appena arriva qualcuno a trovarlo... se lo mangia".

Snocciola uno per uno i brani di Ovunque proteggi, l'ultimo album; bellissimo, ma dal vivo leggermente pesante per la sua disomogeneità e assenza di un filo conduttore.

"l'uomo è uno, uno solo. Ma va sempre in cerca di mille... disfacitrici. E le trova".

Ma è uno show a 360°, con colpi di teatro come la passeggiata per la sala imitando l'Uomo vivo, che cammina in disorientato trionfo per il paese, appena scampata la morte; e con la personificazione dei personaggi cui ha dato vita nell'album. Come la Medusa Cha Cha Cha, condannata a pietrificare gli uomini che la guardano. "non è cattiva, è solo un pò nerviousa. Giustamente, alle volte ha voglia anche lei..."

Prima di ogni canzone Vinicio racconta gli aneddoti e i significati dietro ognuna; Nutless è la storia di come due amici, Noodles e Nutless, si perdono quando uno dei due decide di sposarsi e "andare a letto presto". Si farà risentire tanto tempo dopo, in una telefonata, per chiedersi dove è nata, quella serietà - mandandola affanculo - quando forse era il caso di continuare a buttarsi a piedi pari nella vasca del campari.
Pubblico un pò freddino, durante la prima parte del concerto. Quando però inizia la seconda parte, coi vecchi pezzi, è il delirio. Bastano Maraja e Che cossè l'amor, ma soprattuto l'arrivo di Paolo Rossi (con cui canta due canzoni) a risvegliare il teatro. E poi due canzoni dal Ballo di San Vito, scritte per Milano, "città nella quale è facile arrivare, ma da cui è facilissimo partire". Le case, splendida, è dedicata a un suo vecchio appartamento in corso di Porta Ticinese; e poi Pioggia di novembre, le prime gocce d'autunno che cadono su tutta la città, a lavare i pensieri dal fango e dal mal.
Si avvia alla fine; con l'ultimo pezzo prima dei bis, Al veglione, è riuscito a far alzare in piedi tutti quanti ma non a farli ballare all'incontraire come ho fatto un sacco di volte su quella canzone.
Ma il gran finale atteso è Ovunque proteggi, canzone di assenza, (non dormo ho gli occhi aperti per te), di nostalgia, di errori, ma soprattuto una canzone d'amore senza parlare d'amore come solo lui sa fare. Sassi nelle scarpe, e polvere sul cuore. E' il finale migliore, da ascoltare in piedi ed in silenzio.

Ovunque proteggi la grazia del mio cuore,
adesso e per quando tornerà l'incanto...

martedì, aprile 11, 2006


Yann Tiersen, Il Concerto Perfetto

Non sono certo un animale da concerti, ma i miei sfizi me li sono tolti. Se non fosse morto a metà dei ’90, quando ancora ero piccolo, piccolo così, avrei forse visto anche Buckley, e allora avrei potuto dire d’esser momentaneamente saturo. Corgan, Dylan, Battiato, e ora anche Tiersen. I miei maggiori idoli li ho visti tutti in faccia, o quasi, caro Jeff.
Sabato sera, 20:30, Sallanches. Ma dove cazzo è Sallanches? Bella domanda, ragazzone. Sallanches è uno dei primi paesi dopo il Monte Bianco, ma il tutto risulta del tutto irrilevante. La sensazione è infatti che gli abitanti di Sallanches non siano consapevoli del patrimonio musicale che si sta per esibire nella palestrina del proprio paesello. Bambini, anziani, giovani, in proporzioni eque. Il palco è piccolo, la gente non si accalca, la birra costa solo 2 euro. Inizia Kim, un menestrello francese che inveisce col pubblico suonando un mandolino che crea gustosissime fiammate rock. Kim è un bravo musicista, però è basso, brutto, e ha i capelli da paggetto, e noi non possiamo evitare di prenderlo per il culo tutta sera.
Arriva Tiersen, e parte la magia. Fisarmonica, violino, chitarra. Solo un pezzo al piano, ma nell’aria scorre una psicadelia del tutto inaspettata, ed io non riesco a trattenermi dal ballare. Le birre si moltiplicano. Tommy urla come una checca. Ysbrand sculetta. Il bassista è un bel figo, e Ysbree lo nota. La Miriam si perde nelle prime file. Vanessa ascolta estasiata. Birre, birre ancora, che una specie di organetto manipolato da una bionda rende ancora meno gassate. Il chitarrista suona la chitarra con l’archetto, Yann violenta il violino (notare l’assonanza). E’ stupendo, e come tutte le cose stupende, finisce. Si accendono le luci, il pubblico si dilegua come un daino durante una battuta di caccia, ma fortunatamente noi restiamo ancora. Fortunatamente. Perché in pochi minuti Yann Tiersen scende tra i pochi rimasti per firmare autografi e scambiare due chiacchiere. E’ la fine. Sommergiamo Yann di foto, gli diciamo che siamo italiani e lui ci dice che in luglio sarà a Milano. Yann è un ragazzo timido e molto alla mano. Un figo. Tommy impazzisce ed inizia a seguirlo come un paparazzo da quattro soldi, come una teenager di fronte a Britney, e si fa firmare anche il culo. Tommy perde anche l’ultimo briciolo di dignità rimastogli quando stacca il cartellone del concerto all’entrata e se lo fa firmare con dedica: “à Thomas, Yann Tiersen”. Pare che Tiersen, a quel punto, abbia chiesto ad un inserviente di “levargli quello scimmione dalle palle”.
La notte è giovane, Sallanches nò. C’è un'unica discoteca in città, e noi ci finiamo. Il posto è squallido, il proprietario odia la mia faccia da cazzo, il nome del locale ha un suo perché: Le Crocodile.
Due canzoni possono raccontare cosa accade in quel tugurio.
Una è “Ho ballato di tutto”, di Paolo Conte.
L’altra è “Le valse des monstres”, proprio di Tiersen. Siamo circondati da mutanti. Le donne sono metà uomini e metà pesci, con precisione cozze. Gli uomini sono creature spaventose, sudate, smanicate, deformi. Ma il tutto è fantastico, e non si smette di ridere.
La fame ci porta fuori dal Crocodile, in un saloon popolato da omoni pelosi con la vocina da fanciulla. Birra, baguette, e la serata giunge a compimento, purtroppo.
Al ritorno all’hotel Ysbree si è già trasformato in trapano, Vanessa nel bullone. La Miriam non si concede, così io e Tommy, rinominato lampone, dormiamo vicini, e inizia un nuovo film: I Segreti di Brokeback Mountains.

domenica, aprile 02, 2006

Piccola guida essenziale a Sergio Caputo

Beh, a volte la domenica è così. Riprendi conoscenza, bevi un caffè e ti domandi come hai potuto ubriacarti con così poco. Poi però (dopo un paio di ricordi e successivi “Ma noooo”) apri la finestra, entra la primavera e allora la giornata cambia. Tiri fuori un paio di pezzi spiccatamente mattutini e allegri (stile Have a nice day, Stereophonics), passeggiatina senza giacca per prendere un secondo caffè, e via. Si, a volte è proprio così.

Mente locale: domani si va a vedere Sergio Caputo per la quarta volta. Piccola guida pratica: ai più il nome non dirà niente salvo poi capire ascoltando il ritornello questo è un sabato qualunque, un sabato italiano. Decisamente riduttivo. Il buon Sergio, dopo quella canzone dell’81, mi ha accompagnato per anni con canzoni dai testi di un intelligenza rara. Succede infatti spessissimo che mi saltino alla mente, quando capita di vivere le stesse situazioni (estremamente reali) che descrive nelle canzoni. Storie d’alcool e di vita condite da tagliente autoironia, necessaria ad affrontare le follie del quotidiano e a smussare le delusioni di amori finiti (spesso) male.

È così che in Mercì Bocù (scritto appositamente così), quando la tua storia lascia un po’ a desiderare, fermo un tassì. Guastarti la serata no, non è chic: in questo modo inizia il racconto di come una delusione viene affogata in un whisky bar immaginando di non vederti più, farci una risata su… la vita è bella, ciao, mercì bocù. Allo stesso modo, in T’ho incontrata domani, rivederti è pleonastico, per dondolarsi utopistici in un sogno demodé.
L’alcool, con il quale ha avuto anche discreti problemi, è spesso presente nei viaggi raccontati. In Io e Rino i due protagonisti – grandi imprese e amori fallimentari - si muovono in evidente stato confusionale bevendo una birra di qua e una di là.
Il lato allegro è quello di Metamorfosi, in cui furie impomatate si scatenano per le vie più chic della mia anima; ma anche nelle canzoni più intime Sergio riesce ad essere sottile e delicato nel racconto di amori, delusioni, nostalgie.
In Spicchio di luna (c’è un nome più dolce da rivolgere a qualcuno?) piccoli sogni in abito blu, ammiccano discreti dall’insegna di un locale mentre tu mi proponi discoteche inquietanti e amici naif. Ma non solo: Weekend spiega lo struggersi di un venerdì senza birre in frigidaire e con l’ennesimo caffè che brucia indisturbato lì sul gas, mentre lei è fuori per il weekend a nascondersi dietro i “non saprei”.
A chiusura dello splendido "I Love Jazz", spunta Quasi per caso, ovvero la storia - con un delicatissimo sottofondo jazz - di come, appunto per caso, un vecchio amore torna alla mente in una serata malinconica. Ma stanotte penso a te quasi per caso... tu come stai? Mi pensi mai? Il tempo che è passato ti ha cambiata o no? Chissà se quel tuo cuore si è calmato un pò..

E infine, quella che considero la più bella: Mettimi giù. Il testo l’ho riportato in uno dei primi post del blog, narra la confusione di un amore da cui si vorrebe scendere perché tu fai troppa confusione ed io ho bisogno di tranquillità, ma che inevitabilmente costringe a riflessioni notturne (due ore all’alba e siamo ancora qui a fumare, che ne diresti di andare al mare?). La trovate nella radio: questa è la strada, il resto è whisky di pessima qualità.



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