Tutto il resto è disco dance: marzo 2006

domenica, marzo 26, 2006

Dolente, tremante, ardente

Stagione di concerti, dopo JJ gli MK. Marlene Kuntz, conosciuti con una gracchiante cassetta nel 94, quel “Catartica” che ascolto ancora oggi. Li ho già visti 5 volte, in concerto, ma questa volta lo annunciano come “uno spettacolo che da tempo avevano in mente, basato sulle performance intime; non dunque il tuono e la tempesta dei grossi assalti distorti, ma l'inquietudine tersa di note sospese nel vuoto dell'apnea e sul respiro del pubblico. Sarà elettrico, romantico, sonico, lirico, intenso, poetico, teso.” Non posso dunque perderlo, non c’è notte bianca che tenga.

Salgono sul palco alle 23, attaccano subito con Lieve. Meglio del perdersi in fondo all’immobile, meglio del sentirsi forte nel labile. Le versioni sono più dilatate, più sofferte del solito e per questo i momenti di distorsione danno un senso di violenza maggiore. Cristiano, si nota, è diventato più personaggio, più a suo agio nel ruolo di frontman. Ma il ruolo principale lo lascia sempre alle sue parole e alla sua poesia, dato che per scelta portano in questo s-low tour solo canzoni “d’amore” e l’imperscrutabile turbinio di sentimenti ad esso: gioia, desiderio, poesia, abbandoni e sofferenze.
Ed è così che mi avvolgono Serrande alzateil mio naso sulle tue palpebre le sfiora appena, e sa non farsi notare -, Amen, Infinità, fino al brivido per quel passaggio sussurrato (a differenza dell’originale, senza suoni di sottofondo) da La canzone che scrivo per te: “Ma ora hai in testa il viso di qualcuno più speciale di me/ che sa cantare ma ha più stemmi da lustrare di me/ questo è il tuo svago”.

Intermezzo: 8 anni fa, al mio primo concerto di MK, ero sotto il palco a pogare e saltare. Ora me li godo seduto: il tempo che passa.

Ci avviamo alla fine. Dopo Bellezza, manca solo Lei nella scaletta, quella canzone che per anni ho considerato - e ogni volta me lo conferma - la mia preferita, che ogni volta che riattacca mi fa venire la pelle d’oca dopo 12 anni e centinaia di ascolti. Nuotando nell’aria. Seguendo il tono della serata è, se possibile, più tesa e sofferta. L'assenza, la mancanza e il dolore che creano : il solito capolavoro, la solita pelle d’oca. Chiudono così, lasciando che sulla strada di casa risuonino gli ultimi lancinanti minuti.

Mi piacerebbe sai
Sentirti piangere
Anche una lacrima
Per pochi attimi…

venerdì, marzo 24, 2006

J.J.

Perché la notte del concerto di Jack Johnson abbia sognato di entrare in un locale dove suonava dal vivo un trio composto da Bono Vox degli U2, un giovane Ring Starr in bianco e nero, e Marco Berrì delle Iene, beh, questo rimane un mistero. D’altronde l’inspiegabilità di alcuni sogni è una delle sfaccettature più avvincenti del magico mondo del Sonno.
9 marzo 2006. Jeans e maglietta verde, fisico da surfista ed una modestia contagiosa sono i tre elementi che riempiono il centro del palco dell’Alcatraz di Milano.
Jack Johnson è live in Milan.
Massi e Frizkner sono al suo concerto.
Ed io dove sono? Beh io, io sono Frizkner.
Il concerto è stato molto bello. Due ore filate, non una pausa. Lottare contro le onde su una tavola da surf non solo rinfresca le idee, rafforza anche il corpo.
Una scaletta ben riuscita, un ritmo coinvolgente intervallato da minuti di melodico riposo. Brani presi qua e là da tutti e tre i suoi album, persino un pezzo di Whole lot of love dei Led Zeppelin infilato di soppiatto. A garanzia del tutto un tastierista talentuoso che si trasforma anche in chitarrista, un bassista immobile e un batterista visto solo a mezzo busto, come Lilli Gruber.
Jack cerca il dialogo con il pubblico introducendo il gruppo. Presenta sé stesso con un semplicissimo “My name’s Jack”, poi spiega che prima di scrivere “Belle” un suo amico gli aveva detto che “bella che fa” significava “tu sei molto bella”. E di questo errore Jack si scusa. Chiaramente.
Alle undici è tutto finito. Sono felice. Lo spettacolo è stato molto bello. Jack non ha suonato Rodeo Clowns, la mia preferita, ma mi sono comunque ben divertito.Quando me ne vado ho quella splendida sensazione di aver messo un’altra croce nella lista di “cose che avrei voluto fare prima di morire di aviaria”.

domenica, marzo 19, 2006

Milano is my Lady

Sono ancora in attesa del post di Frank sul concerto di Jack Johnson, e così scrivo un pò io dopo tempo immemore... pausa dovuta ad assenze e zingarate varie. A proposito di J.J., aggiorno le canzoni con due suoi pezzi, uno allegro nel suo stile, e uno malinconico che mi piace moltissimo

Qualche giorno fa ascoltavo L.A. is my Lady di Frank Sinatra (ero in un impeto swing) e così ho pensato a come poche ore prima, in macchina, notavo come Milano stesse rifiorendo in concomitanza con lo scoppio della Primavera. Ora, a dispetto di chi la odia, io adoro questa città. Non mi è facile spiegare il perchè, ma solo qui ho l'impressione che persino i palazzi mi capiscano e soprattutto che siano rispettosi dei miei mutevoli stati d'animo. Milano passa dalla malinconia invernale all'esuberanza estiva, senza essere mai invadente.

Ho sempre in mente due immagini: una notturna, vista in una foto, di una rotaia che taglia l'asfalto bagnato dalla pioggia (simile a quella postata); e una luminosa, di grandi e spaziosi viali illuminati dal sole primaverile. Non solo queste, ovvio, ma forse le due che si adattano meglio al mio animo inesorabilmente double-face, malinconico e sereno al tempo stesso. Non entro nel discorso della vita (la "Milano gambe aperte, Milano che ride e si diverte" di Lucio Dalla), dei bar, degli aperitivi, delle persone in giacca e cravatta, della frenesia e delle sue intrinseche contraddizioni; una città ti avvolge con le sue cose, il suo stile, le sue strade e le sue luci. Ecco, a parte il passeggiare diurno (anche da solo, ipod nelle orecchie), uno dei ricordi più belli che ho è una passeggiata dalla mia vecchia - e storica - casa di via San Michele del Carso fino in Brera, passando per via Dante e il centro. Era notte, ed eravamo (in due) inebriati dal silenzio e dalle luci del centro storico. E che dire delle notti in cui, finestrino aperto, sfrecci per i vialoni con l'aria che ti accarezza la faccia mentre canti?

Per me Milano è così: mi osserva, mi comprende, mi consiglia senza mai prevaricare il suo essere contorno austero. Sa quand'è il caso che il sole spunti a ridarmi un sorriso, o quando deve piovere per lavare via tutto. E con l'arrivo della primavera, mi sembra sempre più bella.

Oggi poi (il giorno dopo la scrittura del post) mi è caduto l'occhio su un articolo del Corriere: "Ecco la Milano che mi ha adottato", di Enzo Biagi. Riporto la splendida chiusura: "A volte penso che a Milano ho trovato me stesso: è giusta per me, perché non è chiusa, non è orgogliosa, non è razzista, non è diffidente, perché è leale: pensa di darti quello che meriti, non ti chiede atti di fede, non devi abdicare a niente. Né al tuo modo di vivere né al tuo modo di pensare. " Ecco, l'avrei voluta scrivere io.

domenica, marzo 05, 2006

New Indian Agra - Take Away

La domenica è il giorno del Signore. Il Signore degli Agnelli.
La domenica è il giorno dei Bordelli. Lapo Elkan, o Gianni Agnelli.
La domenica è il giorno del riposo, sportivi e divi.
Lo dolce far niente. Lo dolce Stil Novo.

Che voglia di pizza, questa sera, ho una fame da caimano!
In viale monte nero c'è la pizza più buona di Milano.
Piuttosto spessa, ma ben messa.
Con la mia Pipa mi recai verso la pizza promessa.
In bocca già si pregustava,
una mozzarella calda che impazzava.
Salame e rucola,
rucola e salame.

Ma tosto e quatto, nel viril cammino,
un take away indiano, si inserì barbino.
Lamb Biryani.
Prown Biryani.
Kofta Masala.
Che prelibatezze, quanta etnicità nostrana,
chissà come sarà questa cucina indiana?
Una porzione li,
una porzione la,
non ditemi che il meglio dell'India,
è questo qua?!?
Fritto. Olio. Grasso. Vegetale e animale.
Una birra a marca Cobra,
come unico lubrificante per un esofago martoriato da immondizia.
Che schifezza. Che pesantezza.
NON ANDATE DALL'INDIANO. Ve lo dice un italiano.
NON FATE COME ME:

Potevo avere un paradiso di pomodorini e formaggio,
ho scelto un inferno di rutti a lungo chilometraggio.

giovedì, marzo 02, 2006

Berg & Dalvana, sottovoce

Ho scritto che ho isolato le 200 canzoni senza le quali non posso vivere. Sono quei brani che porti dentro, che puoi non ascoltare per mesi, ma ogni volta che li riascolti ti avvolgono, ti accarezzano, sono tuoi compagni di viaggio. Inoltre, considerato che sono io, il 90% sono canzoni malinconiche, tristi o giù di lì. Di queste, qualcuna l'ho messa nella radio: sono quei brani che in questi giorni mi accompagnano mentre faccio la barba, mentre guido, quando torno a casa, prima di addormentarmi. Praticamente, sempre. Morna, di Vinicio Capossela; Elegia, di Paolo Conte, All or none, dei Pearl Jam, l'immancabile Waves of Grain ma soprattutto Berg & Dalvana, dei Kent: in assoluto una delle mie canzoni preferite. E' in svedese, e quindi quando l'ho ascoltata le prime volte anni fa ho immaginato la storia ben prima di leggere il testo tradotto in inglese.

Berg - o almeno io immagino che sia lui - comincia a cantare appena riemerso dai suoi pensieri, e la voce è quindi instabile, malferma: è bastato il modo in cui sussurra la prima strofa ("På vägen tvättas spåren bort") per farmi innamorare della canzone. Inizia a riprendersi, e descrive la scena comprendendo come quello di cui parla sia una distrazione verso qualcosa di assolutamente superfluo. Pian piano scrolla via il torpore, la voce si fa più decisa e inizia il dialogo con Dalvana. Dov'è? Perchè non è più con lui? Si può solo immaginarlo... è andata via, forse è stata solo costretta a farlo, o più probabilmente l'ha dimenticato, rimosso. Ad ogni modo, Berg prende fiato, riannoda i pensieri, e spara fuori probabilmente tutto ciò che avrebbe voluto ma non aveva avuto modo/coraggio di dire nel momento dell'addio. Subito chitarra e basso lo coprono in un turbinio di suoni, ed è costretto a dire tutto più forte, quasi ad urlarlo. Il finale è un crescendo grandioso, finchè la voce non mette da parte la rabbia e la nostalgia, torna flebile e biascica le ultime sofferte parole verso Dalvana. O forse è un semplice addio. Un capolavoro, comunque.



hits